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Caponata, gli inventori sono i monsù? Imbattibile “alla siciliana”, un tocco per città: dalla pesca al caciocavallo

Piccole variazioni agli ingredienti bastano per cambiare veste e sapore alla celebre pietanza di verdure. La variopinta e ricca “Caponata” sfoggia più di trenta look diversi ed è sponsorizzata come antipasto o contorno o secondo piatto. Poche ma buone certezze rendono i suoi costituenti un vero “portento” della gastronomia siciliana. Questa pietanza è il tripudio di principi nutritivi sulla tavola e dell’atmosfera che si respira sul Mar Mediterraneo. Si incastra nella tradizione specialmente delle dominazioni siciliane e ti sbalordisce per essere sempre nuova con le incursioni culturali del presente. Le materie prime di sostanza e qualità e gli strumenti di preparazione si esplicitano di provincia in provincia e di famiglia in famiglia. La ricetta non è universale ma è un piacere descriverla con quei tocchi tipici di ogni città. In linea con la geografia, si accettano le modifiche al tema caponata (per es. con Cous Cous), usando diversi ortaggi insaporiti con aceto, zucchero e frutta secca.

Che caponata è senza la frittura di melanzane e senza quella marcata nota agrodolce? Non a caso il suggerimento per ottenere la migliore recensione per questo piatto è elaborarlo un giorno prima. Questo dovrà “riposare” e impregnarsi con le sue fragranze. La melanzana favorita è la “violetta” di Palermo, che si presenta allungata e soda e rallenta l’assorbimento dell’olio.

Perché si chiama Caponata?

Si può fare risalire “a capunata” agli Arabi che importarono nell’827 le melenzane. Ma a scavare il solco della formula gastronomica sono anche Greci, Romani e Francesi. Chi si è inventato questo nome? Qual è l’etimologia della parola “più credibile”? Sembra derivi dal latino “caupona”, che significa “osteria”, un luogo in cui i marinai, alla fine del loro turno, si incontravano per convivialità per gustare del vino e pane tostato e condito con aglio, olio, olive, capperi e acciuga. L’appetito veniva placato con un boccone unico, magari su prenotazione. I clienti non avevano troppe pretese perché non potevano permettersi altre portate, per esempio di carne.

Il segno particolare come nella carta d’identità per la caponata è quello di mostrarsi con verdure a quadratini della stessa misura. Perciò il verbo in latino volgare che gli calza a pennello è “capulare” ovvero “tagliuzzare a pezzetti”. In Spagna come in Sicilia, il termine “capulare” sta per triturato e, senza andare lontano, il pomodoro “capuliato” o “capuliatu” che vuol dire “sminuzzato” è un pesto rosso, fatto con i pomodori secchi nel comune di Vittoria (Ragusa). Anche il greco decreta a questo proposito perché “captos – capto” corrisponde a “tagliato”.

L’origine più convincente

Gli inventori della ricetta sono i cosiddetti “monsù” – cuochi di corte che servivano ed accompagnavano il capone (una specie di pesce azzurro) con le verdure in agrodolce. Si tratta di una zuppa di pesce o la caponata dei ricchi. Questa è l’interpretazione che convince maggiormente e si colloca nel XVIII e XIX secolo in Sicilia e Campania.

Il capone è settembrino ed conosciuto anche come “lampuga”, con una carne bianca e molto tenera. La più catturata è la “lampuga alla siciliana” perché passa di frequente in questa area. Consumare il pesce rappresentava un tenore di vita e una moda da aristocratici. La sua distorsione o meglio la sua versione “più rilassata” ed accessibile alle tasche del popolo era priva di pesce. Poi, sarebbe stata tramandata solo vegetariana. Questa usanza gastronomica circolò in tutto il Mar Mediterraneo come piatto unico, associato al pane.

Dalla Sicilia alla Liguria 

Balzo in Liguria con una reminiscenza di caponata. Qui la tradizione è il “Cappon magro”, a base di pesce e verdure. Questi sono serviti sopra a una galletta o pane secco che somiglia allo “chapon” francese, un crostone sfregato con aglio e associato alle zuppe. L’aggettivo “magro” viene attribuito a ricorrenze specifiche (giorni di penitenza e quaresimali).

Gli uomini imbarcati che frequentavano il Porto di Genova potevano apprezzare la “Cappadona” nelle taverne. Questa non è altro che l’evoluzione del pane aglio e olio con la genuina improvvisazione del titolare del locale.

La genialata di rimpiazzare ingredienti dei ceti agiati (vedi il pesce) con ortaggi prelibati coglie lo spirito di adattamento alla società che è spesso un po’ classista.

Le varianti di caponata per città

Nel tipo palermitano, gli elementi occorrenti sono: melanzane, pomodori, sedano, cipolla, capperi, salsa di pomodoro, olive intere schiacciate e senza osso (verdi o bianche), olio, sale, aceto e zucchero. Si parte sempre dai tocchetti di melanzana che vanno fritti in padella con olio extravergine di oliva. In un secondo tegame, si fa appassire il trito di cipolla a cui si aggiungono i capperi e i tocchetti di sedano, da cuocere per 10 minuti a fuoco basso con mezzo bicchiere d’acqua. Pochi minuti prima della cottura, integrare la salsa di pomodoro e le olive. Si prepara la salsa agrodolce con zucchero e aceto che andrà versata solo alla fine e dopo aver amalgamato le melanzane al sughetto con capperi e olive.

– Il gusto trapanese valorizza il mix della versione palermitana con le mandorle tostate.

– Parlando di Trapani: il comune più popoloso dei suoi è Marsala, dove la caponata si discosta da quella basica del capoluogo siciliano perché introduce i tre tipi di peperoni: rosso, verde e giallo.

– La Caponata di Catania chiama a sé i peperoni, integrando a scelta foglie basilico, aglio e persino patate. Melanzane e peperoni vanno cucinati separatamente.

– La Caponata messinese abbandona la salsa di pomodoro preferendo i pomodori pelati, che consentono di mantenere inalterato il sapore degli ortaggi che non affondano nel sugo. Anche qui è richiesto il profumo e il colore del basilico coreografico.

Le stravaganze ad Agrigento 

– La Caponata di Agrigento esige i peperoni  arramascati” (i friggitelli), preparati insieme a melanzane pomodoro, cipolla bianca o rossa, sedano, olive verdi, olive nere, capperi, aceto, miele, zucchero, aglio, olio e peperoncino, basilico, pinoli o mandorle e uvetta secca.

– Nella variante Ciancianese (nel comune del comprensorio agrigentino), i carciofi non solo fanno la loro comparsa ma primeggiano su pomodori pelati, olive verdi, succo di limone, sedano e la cipolla.

– Una nota di colore a parte o descrizione particolareggiata per l’originalità va al metodo di Bivona (comune del libero consorzio comunale di Agrigento). Questo intercala, oltre agli ingredienti essenziali della caponata, la dolcezza della frutta con le pesche nostrane che sono molto famose e le pere di stagione.

Sempre nella zona dell’agrigentino, il temperamento agrodolce di questo piatto viene conferito unendo il miele di Zagara (che è a base di agrumi), l’aceto di vino bianco e il cacao amaro. La chicca è l’uva sultanina, questa volta ammorbidita nel Marsala. Si può sforare in calorie cospargendo con mandorle o cioccolato fondente grattugiati.

-Nel Comune di Ragusa, abbiamo la Caponata d’inverno dove le verdure tipiche dell’estate spariscono. Fuori dalla ricetta melanzane, peperoni e pomodori sia in salsa sia pelati che lasciano il posto al pesce e a ben nove verdure: spinaci; cicoria; finocchi; pastinache che sono un tipo di carota bianca ma simile alle patate di gusto; carciofi; cavolfiore; indivia; carote e patate. Il pesce può essere merluzzo diliscato o sogliola fritti o ancora tonno al naturale o sott’olio. La salsa in Agrodolce è immancabile e viene fatta con miele e aceto. Capperi e olive in salamoia rispondono all’appello.

I passaggi per la caponata invernale

Bollite tutte le verdure una alla volta, utilizzando possibilmente la stessa acqua; tranne che per gli spinaci e l’indivia, che vengono lavati, tagliuzzati e versati in un tegame a fuoco moderato, per poi soffriggerli molto con aglio e olio d’oliva.
Il resto delle verdure, già bollite, si soffrigge (anche qui un tipo per volta) e si lega agli spinaci. Dopo aver versato il sugo agrodolce, si separa una prima metà nel piatto di portata, formando uno strato di caponata, a seguire uno strato del pesce scelto e poi un altro di caponata. L’aggiunta della salsa di San Bernardo (con cioccolato e acciughe) è lo step finale, guarnendo con fette d’arancia o di limone con buccia rigata o a piacimento.

Curiosità di esecuzione   

La versione battezzata “cunigghiu” è poco rinomata e appartiene al territorio delle Madonie. Pietanza di magro, cucinata per le feste natalizie, con baccalà, zucchine, pomodori, patate e odori. La “caponatina” preferisce il criterio più salutare della cottura al forno e rafforza il gusto con il caciocavallo piccante a cubetti, di provenienza ragusana.

La caponata ha bisogno di una preparazione di circa 50 minuti, con un’ora e 40 minuti tra i fornelli e quindi con una media difficoltà di esecuzione, considerando un quantitativo per 5 – 6 persone. Può essere offerta calda o fredda e preferibilmente in un contenitore di terracotta. Splende nel firmamento delle vivande gloriose e popolari, grazie anche alla famiglia palermitana Pensabene, che l’ha immessa sul mercato, dal 1869, confezionata in scatola.

Marcella Ruggeri

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