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Riti e tradizioni del Natale in Sicilia

Diciembri : a lu rui San Conu, a lu quattru Santa Barbara, a lu sei San Nicola, a lu ottu la Santissima Maria, a lu tririci Santa Lucia , a lu vinticincu ‘u veru Misia, a lu trentunu San Silvestru Papa, nesci chista e trasi a nova annata”

(Dicembre: giorno 2 è San Cono, il 4 Santa Barbara, il 6 San Nicola, ‘8 la Santissima Maria, il 13 Santa Lucia, giorno 25, il vero Messia, il 31 San Silvestro Papa, finisce quest’anno ed entra l’anno nuovo.)

 

Il Presepe è rappresentazione iconografica per eccellenza del Natale facendo rivivere il sentimento religioso ed in Sicilia venne diffuso dai Gesuiti.

Ogni elemento del Presepe ha un valore simbolico. Gli elementi più significativi sono rappresentati dal villaggio agro-pastorale e dalla grotta, che rappresentano i luoghi in cui nasce il Redentore. Ambienti poveri e umili che denotano l’accoglienza offerta dal mondo povero dei pastori che incarna il vero spirito natalizio.

Il presepe in Sicilia

In Sicilia, il presepe ha sempre occupato un posto di rilievo. Tra le sue unicità, la dimensione dei personaggi, nettamente più piccoli rispetto a quella della tradizione e nella terra degli agrumi non potevano mancare tra le decorazioni arance e limoni! Tra le altre tradizioni natalizie le immancabili manifestazioni  canore e musicali e le rappresentazioni drammatico-musicali con temi sacri come l’annunciazione, la nascita e la fuga in Egitto. Quasi tutti i paesi dell’area di Agrigento sono in fermento durante il periodo natalizio. I festeggiamenti sono suddivisibili in due momenti distinti.: le Novene si effettuano dal 16 al 24 dicembre e prevedono il coinvolgimento diretto delle persone e la ‘Pastorale’, una rappresentazione comica che prevede la partecipazione di tre personaggi. Nella zona di Trapani, il Natale è festeggiato con la realizzazione del Presepe vivente. L’evento prevede l’allestimento di vari ambienti rappresentativi della città natale. Anche in provincia di Catania si può ammirare il Presepe vivente con personaggi umili. Il momento più suggestivo è l’arrivo dei tre re magi, che portano il loro dono a Gesù Bambino scortati da un corteo di pastori. In provincia di Messina, il Natale si celebra con la tipica processione dei pastori che, nel cuore della notte della Vigilia, attraversano i boschi e le vie di montagna muniti di torce accese e cantando inni per giungere presso la Casa della Natività.  In provincia di Caltanissetta ha il suo presepe vivente realizzato nel suggestivo quartiere Rabato di Sutera per tramandare anche la vita contadina e artigianale siciliana della fine Ottocento con una fedele ricostruzione di ambienti agricoli e di botteghe artigiane.

Ma è anche un viaggio gastronomico che ci hanno lasciato in eredità greci, spagnoli, francesi e arabi ed l menù natalizio siciliano, pur avendo degli immancabili piatti comuni da Trapani a Catania, varia di provincia in provincia, di paese in paese.

Le famiglie, numerosissime, si riuniscono intorno ad una tavolata unica, imbandita a festa. A Catania, nella parte orientale della Sicilia, il via alla lunga notte che sembra non finire mai, lo danno le crispelle con ricotta e acciughe e quelle di riso e miele, il loro profumo, nelle strade, nelle case, è un segno indelebile nell’iconografia olfattiva siciliana. Regina indiscussa della tavola natalizia è la scacciata, con la sua variante di scaccia nel Ragusano e Modicano. Forse non erano nemmeno esclusività della gastronomia di strada, anzi c’è a Catania chi sostiene che le scacciate siano nate in casa e che solo quando furono demolite le vecchie cucine provviste di forno a legna, cioè quelle delle case nobili e borghesi, le scacciate siano scese in strada. Per i sostenitori dell’origine nobile, le Scacciate non nascerebbero quindi cibo popolare, è probabile che siano invece le eredi di nobili torte salate, dei pastizzi, dei timballi, magari un tempo preparate per rifocillare nobili e borghesi in gita in campagna.

La messinese Mpanata di piscispada, non è un caso che all’aristocratica pasta frolla, o ad una pasta sfoglia, si sia sostituita la popolare pasta di pane.

Immancabile la scacciata con cavolfiori affogati nel vino, arricchiti di aglio tritato, olive nere,  formaggio primosale, acciughe, e pepe; una scacciata di cipolle, con cipollotti scalogni, acciughe, pepe e olio; quella con i broccoli con broccoletti lessi e saltati in padella con aglio tritato, tuma, olive nere, acciughe, pepe e olio. Tutte varianti che sono rimaste usatissime fino ad oggi.

A fine cena si fanno quattro chiacchiere davanti alla varietà di frutta secca: mandorle tostate, noccioline del Nebrodi, semi di zucca, pistacchio di Bronte.

Ma i veri protagonisti sono i dolci come la Cassata, cassatelle, cannoli, torrone evregreen rappresentanti del patrimonio dolciario siciliano, ma anche il tradizionalissimo buccellato, i nucatuli, la cubaita e i mostaccioli. Il cucciddatu come viene chiamato in dialetto siciliano il buccellato, è un impasto di pasta frolla, steso a sfoglia non sottile e farcita con un ripieno di fichi secchi, uva passa, mandorle, scorze d’arancia o altri ingredienti che variano a seconda delle zone in cui viene preparato, poi chiusa e conformata in vari modi, spesso a forma di ciambella. Il ripieno di mandorle è costituito da un impasto di mandorle pelate, zuccata (zucca candita) e gocce di cioccolato. Il ripieno di fichi, più tradizionale, è invece costituito da un impasto di fichi secchi, frutta candita e pezzetti di cioccolato. Il buccellato casereccio viene solitamente ricoperto di glassa, quello prodotto in pasticceria è ricoperto di zucchero a velo o di frutta candita. Di tradizione araba, come quasi tutta la pasticceria siciliana, i nucatuli derivano dalla parola araba  nagal che vuol dire noce. Sono a forma di S, aperti sulla superficie, da cui esce la farcia, un impasto variabile di fichi secchi, uva passa, miele o mosto cotto, noci o mandorle, scorza d’arancia o limone e aromi. I vini dolci siciliani chiudono il pasto, come il passito di Pantelleria, lo Zibibbo dell’Etna,  il moscato di Siracusa, la Malvasia delle isole Eolie.

Nei paesi sopravvivono tradizioni, riti e usanze collegate al fuoco, nella sua veste sacra. Come il  “ceppo di Natale” o del Falò della vigilia del 24 dicembre, che vede protagonista il caratteristico Zucco, o U’ Zuccu, una delle manifestazioni più significative legate al Natale. Il fuoco assume un alto valore simbolico in questa notte: è la luce che schiarisce le tenebre.

Simbolo di purificazione e trasformazione ha un importanza notevole in numerosissimi culti e tradizioni religiose. Il suo simbolismo è variegato e complesso: rimanda alla trasformazione, alla purificazione, al potere vivificante e a quello distruttivo: il fuoco è dominato da Efesto, che abita nelle viscere dell’Etna. Come la Fenice, ci promette rinascita, ci mostra che la morte è un passaggio da uno stato all’altro, assumendo una valenza sacra e profana. 

Nella tradizione, i falò vengono realizzati per dar vita a momenti comunitari di alto valore. In molti luoghi, l’accensione di fuochi e falò, invita i partecipanti a gettare cose vecchie o bigliettini con preghiere e desideri. Il fuoco, brucia tutto ciò che deve essere abbandonato. Inoltre, da sempre, grandi e piccoli roghi vengono accesi per allontanare le tenebre e il freddo, per difendere dal male e dalle malattie. Durante il  solstizio d’inverno, quando le giornate sono più brevi, era d’uso accendere fuochi per propiziare la rinascita del Sole. 

L’origine araba del nome Zucco

Il termine Zucco, divenuto in dialetto u’Zuccu, ha chiara origine araba e indica il ramo che nasce dalla parte bassa del tronco di un albero come il castagno, nocciolo, pino, ulivo e altre varietà radicate e presenti nella zona etnea. Il tronco, come requisito essenziale, doveva bruciare lentamente. Esso diventa il ceppo, l’ “albero della vita e del sole”, che rimanda alla figura del Cristo.

“Lu zuccu è la parti nfiriuri di n’àrvulu di cui si jisa la parti eretta, si dipàrtinu li ràdichi e nàscinu jèttiti novi”

(Lo zucco è la parte inferiore di un albero da cui si innalza una parte eretta, si dipartono le radici e nascono germogli nuovi!)

Da questa tradizione deriva anche quella del dolce chiamato tronchetto di Natale!

Tra una leccornia ed una strenna, non dimentichiamo di ringraziare Dio per ciò che abbiamo ricevuto in dono durante un anno seppur difficile, ma sicuramente di grandi momenti che ci hanno riempito l’anima!

Buone feste!

Paola  F. J. Torrisi

 

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